venerdì 14 ottobre 2016

FIRESTARTER - capitolo II - LA TOMBA




La creaturina, grande la metà di Vihn, si fermò di fronte all'ibrido, in attesa. Come era possibile? Come aveva fatto? Da dove era sbucata? E nonostante il suo presunto inseguitore fosse di fronte a lui, Vihn sentì nuovamente quel caratteristico prurito alla nuca, quella peculiare sensazione di essere osservato. E si girò a controllare alle proprie spalle. Di fronte a lui, sbiadito dal tempo, si stagliava su di una colonna un graffito che conosceva bene. L'aveva sognato ogni giorno sin dalla propria nascita, quel simbolo. Tutti gli ibridi lo sognavano, faceva parte della loro mente alveare, della loro anima. Era il simbolo della Grande Divoratrice, i Figli del Vuoto. Tutto ora gli fu chiaro.

Quella sensazione non era dovuta al piccolo Genoraptor. Non era l'unico della sua razza su quel planetoide: lì esisteva un Culto! Coincidenza? Fortuna? Mentre si poneva queste domande, una risposta sbucò dai recessi della sua psiche, sussurrata da una bocca non umana che non parlava la sua lingua, ma che nonostante tutto gli fu chiara. “I tuoi Geni”. E sebbene la voce provenisse dalla sua testa, era stata la bocca del piccolo Genoraptor a muoversi. La creaturina prese l'iniziativa e lo condusse attraverso strade abbandonate ed edifici diroccati, poi giù per le fogne ed infine persino più in basso, in luoghi che sembravano non ricevere visite da secoli. Dopo un paio d'ore di cammino, giunsero di fronte ad un portello metallico chiuso, in una stanza che mostrava evidenti segni di un vecchio conflitto a fuoco: bossoli, bruciature e macchie di sangue. La porta stessa sembrava essere stata presa d'assalto, eppure era ancora fissa sui cardini, come se gli assalitori ad un certo punto avessero deciso che non ne valeva la pena. Il piccolo Genoraptor indicò a Vihn il portello e lui seppe istantaneamente cosa voleva che facesse. Si avvicinò e tento di ruotare la grande maniglia che l'avrebbe aperto, ma il meccanismo non si mosse. Provò e riprovò, ma col passare del tempo si rese conto che c'era un solo modo per entrare: l'avrebbe fatto esplodere. Gli rimanevano ancora tre granate e non voleva sprecarle. Ispezionò approfonditamente quel blocco d'acciaio e ruggine, alla ricerca di un punto di cedimento. Dopo qualche minuto, decise che una granata al di sopra del chiavistello sarebbe bastata. La assicurò in posizione con del nastro isolante, poi la innescò e attaccò a correre lungo un cunicolo laterale. Aveva pochi secondi per evitare che lo spostamento d'aria lo tramortisse.

L'esplosione, per quanto di una singola e vecchia granata, rimbombò nei sotterranei del formicaio e il rumore si ingrandì notevolmente. Non che sarebbe fregato a qualcuno, nel Pozzo le bombe esplodevano ogni giorno, quando andava bene. Vihn riuscì ad allontanarsi a sufficienza e quando la polvere sollevata dal botto iniziò a posarsi, fece ritorno nella stanza. Il suo piano aveva funzionato: il portello si era aperto, visto che la parte murata del chiavistello ora non era più tanto murata. Con cautela, Vihn gettò uno sguardo nel salone oltre alla porta.

All'interno, un tanfo dominava l'aria, mentre il buio dominava lo spazio visivo. L'ibrido estrasse una torcia ed iniziò ad illuminare i dintorni. Ben presto, si accorse di camminare in mezzo a vecchie carcasse ammuffite, di creature a lui parecchio simili. Una last stand del Culto locale? Lo stanzone era enorme, puntellato di colonne che univano il soffitto al pavimento. Vecchie armi facevano capolino fra i cadaveri e per qualche strano scherzo della prospettiva sembravano puntarlo ovunque si muovesse. In fondo alla sala, una grossa sagoma emergeva dalle carcasse. Intuì subito di cosa si trattasse e l'avvicinarsi non fece che confermare le sue teorie.

Il Patriarca del Culto. Morto e mummificato, perché a differenza degli ibridi le carcasse dei Purosangue non subivano la putrefazione. Era una creatura imponente e tutto sommato sembrava quasi che potesse muoversi da un momento all'altro. Ma era certamente morta da anni: il cranio era sfondato e due arti superiori mancavano all'appello. Un peccato. Ma allora, la sensazione psichica che lo aveva messo tanto in allarme da dove proveniva? La risposta non si fece attendere.

Passi alle sue spalle. Passi eterogenei, di creature con stazze diverse e piedi diversi. Si girò e di fronte a sé vide una decina di ibridi, le armi spianate contro di lui. Erano lì perché avevano sentito il botto o perché lo avevano tenuto sott'occhio? Lo stallo comunque non durò per molto, perché uno di loro, presumibilmente il loro capo, prese la parola:

-Benvenuto, straniero. Io sono Kosse, ultimo Gerarca del Culto Grigio. Vedo che non sei un umano qualsiasi. Hmm... No, tu sei come noi... Come ti chiami? Da dove vieni?
-Io mi chiamo Vihn e vengo da Khatrax. Non credo ne abbiate mai sentito parlare, abbiamo fatto di tutto per rimanere nascosti. Dominavamo il pianeta ed eravamo pronti a ricevere la Grande Divoratrice, finché dei maledetti Astartes non giunsero e ci distrussero. Io sono l'unico sopravvissuto.
-Allora abbiamo una storia simile, fratello Vihn. Anche noi fummo attaccati da degli Astartes. Quei vigliacchi ferirono a morte il nostro Patriarca e lo lasciarono ad agonizzare qui dentro, mentre noi tentavamo disperatamente di raggiungerlo. Quando furono certi della sua morte, se ne andarono. Erano anni che non tornavamo qui, poiché è per noi un luogo di profondo dolore. Ma dimmi, cosa ti ha guidato fin qui? Come hai fatto a trovare questo posto?
-Grazie a questo piccolo Genoraptor. È lui che mi ha trovato e che mi ha condotto qui.

Kosse guardò con attenzione nel punto indicato da Vihn. Fu il suo sguardo a parlare per lui. Vihn capì che il Gerarca non vedeva la creatura che in questo momento stava accovacciata al suo fianco.

-Fratello – disse Kosse – io non lo vedo. Sin dalla battaglia che fu combattuta in queste stanze nessuno ha più visto un Genoraptor. Ma se quel che dici è vero, allora è te che noi abbiamo aspettato per tutto questo tempo. Se tu vedi la creatura che dici di vedere, vuol dire che hai il Dono. Vuol dire che sei il Firestarter.
-Scusa, di quale dono stai parlando?
-Tu vedi un Famiglio della Grande Divoratrice. Solo i Magus e i Patriarchi ne sono in grado: sono l'incarnazione della Mente della Nidiata, la parte di noi che appartiene ai Figli del Vuoto.

Vihn a questo punto capì. I passi che sentiva erano nella sua mente. La creatura non era sbucata dalle ombre, era stata generata dalla sua psiche. Volse lo sguardo verso quell'essere che solo lui poteva vedere. Nei suoi occhi vuoti, vide sé stesso. E le Stelle.

-Cosa significa “firestarter”?

sabato 8 ottobre 2016

FIRESTARTER - capitolo I - IL POZZO


da qualche parte nella Via Lattea...

Vihn Dysel si girò di scatto. I suoi sensi ipersviluppati erano costantemente in allarme, ma per ora gli avevano restituito unicamente falsi positivi. Probabilmente, era il posto ad agitarlo: un fetido planetoide industriale abbandonato, ai confini dell'Imperium, chiamato poco poeticamente “UHC/34a99”. I più fantasiosi lo avevano ribattezzato “il Pozzo”. Sicuramente era il luogo ideale per nascondersi dalle autorità Imperiali, il che lo rendeva anche un posto pericoloso di per sé. Criminali, mutanti, alieni ed eretici affollavano le strade, mentre oscure organizzazioni tramavano nell'ombra. Era anche un ottimo nido per quei Rogue Trader che necessitassero di rifornimenti “speciali”, oppure di un porto spaziale dove scambiare beni non propriamente approvati dall'Administratum. Di tanto in tanto, persino alcuni Inquisitori (ovviamente i Radicali più estremisti, coloro i quali avevano già un piede al di là della linea gialla dell'eresia) facevano visita al Pozzo, ma in cerca di cosa (o di chi) era un'informazione difficile da ottenere senza pagare con la vita. Il Pozzo non era solo il nomignolo del planetoide, bensì si estendeva anche all'unico, ciclopico formicaio che ne occupava parte della superficie e della crosta sotterranea. Essendo l'atmosfera piuttosto scarsa, il formicaio era sigillato da un Guscio di Guglie, atto a contenere l'atmosfera artificiale che si respirava per le sue strade, proveniente dalle Tre Foreste Idroponiche. Un tempo erano gli adepti del Mechanicum ad occuparsi del mantenimento di queste Foreste e dell'integrità del Guscio di Guglie, ma ormai erano svariati millenni che il sistema era abbandonato a sé stesso. C'era stato chi si era proposto di prendersi in carico di tutte le manutenzioni, ma puntualmente i riottosi abitanti temevano che la loro preziosa libertà sarebbe stata a rischio. Di conseguenza tali individui finivano sempre a fare da concime in una delle Tre Foreste. Non vi era un capo, né un Consiglio cittadino, né una dittatura militare, né un'organizzazione illegale che detenesse il potere assoluto: il Pozzo si autogovernava nell'indifferenza, ricorrendo al sangue, alle droghe, alle armi e a manufatti di origine aliena.

Sebbene molte di queste cose non gli fossero note, Vihn sperava che in mezzo all'anarchia dilagante del Pozzo sarebbe riuscito a recuperare le forze dopo gli avvenimenti di Khatrax. Era sopravvissuto per miracolo ed era riuscito a fuggire per miracolo mentre il pianeta subiva un bombardamento orbitale. Fortunatamente per lui, solo qualche settimana prima la squadra di cui faceva parte aveva rintracciato un hangar segreto dell'Astra Militarum e le alte sfere non avevano ancora deciso cosa farne. Di solito, infatti, le navette venivano requisite, di modo che i Principi, i Genoraptor Purosangue, potessero diffondersi nell'Universo. La navicella con cui era riuscito a fuggire era poco più di una vecchia scialuppa di salvataggio, arrugginita e cigolante, ma era riuscita a condurlo fino al sistema solare abitato più vicino, chiamato Legius. Troppi Arbitres però da quelle parti, così appena seppe dell'esistenza del Pozzo decise di dargli una chance. E per ora, non gli dispiaceva affatto. Attraccare era stato semplicissimo, dal momento che era bastato pagare uno svogliato e grottesco Capoporto mutante. Zero domande, zero problemi. Tra l'altro, la sua astronave era talmente schifosa che difficilmente qualcuno avrebbe avuto il fegato di rubarla. No, non gli dispiaceva affatto, senonchè...

Di nuovo, Vihn si girò di scatto. Anche questa volta, nessuno lo stava seguendo. O, se lo stava facendo, era dannatamente bravo a nascondersi. Eppure si sentiva osservato...

Stava vagando per tetri vicoli di roccemento pieni di detriti e rifiuti, alla ricerca di un posto tranquillo e abbandonato in cui stabilirsi. Aveva intenzione di fare il mercenario per un po', magari la guardia del corpo, giusto il tempo di procurarsi un equipaggiamento decente e poi sarebbe ripartito. Per dove, ancora non lo sapeva, ma di certo sarebbe stato meglio se non fosse rimasto troppo a lungo nello stesso posto. Gli sarebbe piaciuto formare una sua Famiglia, ma non era un Genoraptor Purosangue e per quello che ne sapeva non erano tanti i suoi simili nell'Universo. Il sangue quanto si sarebbe diluito? Sarebbe davvero stato in grado di dare alla luce un nuovo Purosangue? Ancora una volta, Vihn sentì l'impulso di girarsi di scatto. E lo fece, ma dietro di lui c'era solo la sua ombra. Stava esagerando? Forse era la stanchezza, forse la fame. Forse era solo paranoico. Si stava addentrando sempre di più nelle parti abbandonate di quel miserabile agglomerato di sporcizia e devianza e ben presto l'unico rumore che si poteva udire era quello dei suoi passi. Passi che iniziavano ad acquisire uno strano eco. Come se fossero passi doppi. Ora ne era certo. Qualcuno lo seguiva. Individuò un cunicolo più avanti sulla destra, una strada che sgorgava oscurità e che prometteva essere il luogo ideale per una trappola. Fece quasi per superarla ma all'ultimo vi si infilò dentro con uno scatto, correndo fino a nascondersi dietro ad un grosso tubo che partiva dalla volta del cunicolo e che continuava nel terreno. Tenne d'occhio l'ingresso, ma nessuna ombra spezzò la lama di luce che lottava contro l'opprimente oscurità. Iniziò ad indietreggiare lentamente, lontano dall'apertura ma senza mai perderla d'occhio. E i passi ripresero, ora più nitidi che mai. Come se chiunque li producesse avesse perso ogni interesse nel nascondersi. Eppure, non si vedeva nessuno. “Assurdo, impossibile, ridicolo” furono solo alcune delle parole che balenarono in mente a Vihn, eppure la realtà non mentiva: il suo inseguitore sembrava essere invisibile. La sua mano si spostò lentamente verso l'impugnatura del fucile a pompa che portava a tracolla. Avrebbe combattuto con tutte le sue forze, perchè l'istinto di sopravvivenza era la sua arma migliore. Dopo secondi che sembravano giorni, il cunicolo terminò e Vihn si ritrovò in un'ampia strada traversa, fiocamente illuminata ma deserta. Nulla era entrato nel vicolo, eppure i passi lo avevano seguito. Ad un certo punto, il confine dell'ombra all'uscita del vicolo sembrò agitarsi e una piccola figura prese forma sotto agli occhi di Vihn.

La testa allungata e glabra, i lunghi e acuminati artigli, le piastre di chitina e gli occhi vacui... Erano tutti quanti elementi fin troppo familiari. Stava osservando un piccolo Genoraptor.